· Città del Vaticano ·

Dalla Giornata mondiale dei poveri al giudizio finale

Saremo giudicati sulla carità

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19 novembre 2020

«Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». A questa domanda risponde Gesù, nella veste inusuale e severa di giudice dell’umanità: «Tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me» (Matteo 25, 44-45). Potrà anche sembrare una sorpresa imprevedibile per chi pensava che la discriminante sarebbe stata la fede, ma su questo i credenti non possono aver dubbi: tutti saremo giudicati sulla carità. Si tratta di qualcosa di diverso dalla commiserazione per gli sfortunati, dalla beneficienza ai bisognosi, dalla filantropia verso gli indigenti. Diceva il beato Federico Ozanam: «Gli è che la carità fu compromessa da coloro che la praticarono male, dalla filantropia, più prodiga di discorsi che di sacrifici, dalla beneficenza sdegnosa, dallo zelo indiscreto. Sta a noi sradicare questi vizi che rendono l’elemosina umiliante al povero e sterile davanti a Dio» (Rapporto all’Assemblea Generale, Parigi, 2 agosto 1848 - Bulletin de la Société de S. Vincent de Paul, vol. i, pag. 39).

Per essere criterio di discernimento universale, la carità dev’essere qualcos’altro dalla scelta facoltativa di fermarsi su chi è caduto in disgrazia, oppure di passare oltre. Mangiare per chi ha fame, bere per chi ha sete, essere accolto per chi è straniero, vestirsi per chi è nudo, ricevere assistenza per chi è malato, essere visitato per chi è in carcere: sono diritti che obbligano, non gentili concessioni. Questa è la ragione dell’universalità del giudizio: tutti saremo valutati su queste azioni omesse o compiute. Indipendentemente dal riconoscimento della persona di Gesù nei più piccoli e vulnerabili, il discorso ha un senso che va al di là della dimensione religiosa, perché la precede e la fonda. Quando si dà qualcosa a chi ne ha bisogno non si fa la carità, si paga un debito.

Nella testimonianza più limpida degli interpreti autentici della tradizione cristiana, la carità non ha mai vestito gli stracci della pietà, ma ha sempre indossato l’abito solenne della giustizia. «Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia» (san Gregorio Magno, Regula pastoralis 3, 21). Il concilio Vaticano ii lo ha ripetuto con chiarezza: «Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia» (Apostolicam actuositatem, 8).

Imparando a piangere anche con chi è causa del proprio male, senza lasciarlo a se stesso, ci renderemo conto che in qualche misura siamo parte del problema, perciò abbiamo il dovere di provvedere alla soluzione. Ricordando però che la giustizia senza carità è come un vestito bagnato addosso a chi ha freddo.

di Maurizio Gronchi